Ogni stagione venatoria ha eventi e profumi diversi, ogni giorno di caccia ha emozioni e storie particolari, ma tutti quanti rimangono intrecciati insieme a formare il nostro bagaglio di ricordi e di esperienza, che si trasmette di generazione in generazione nei boschi! Quei racconti dei nostri nonni e genitori che hanno catturato l’attenzione di noi bambini, fino a farci innamorare di questo mondo per viverlo direttamente e farne parte del nostro DNA.
Era una mattina fredda, il sole faceva capolino da dietro le colline, il cielo azzurro con qualche nuvola bianca, tirava pochissimo vento. Alla casa di caccia c’erano le solite facce, gli stessi amici; quattro chiacchiere, parecchie risate, i racconti ognuno con la propria versione della battuta precedente e tutti con la stessa voglia di iniziare una nuova giornata insieme, scovare animali e creare nuove emozioni. Il caposquadra ci riunì a lui e dopo le solite raccomandazioni cominciò a distribuire le poste ai capoposta, i canari verso i punti di sciolta.
Mio padre metteva le poste alla pineta e io ero con lui, posizionati vicini (come spesso accade) precisamente alla posta “le mutande”; quel punto viene chiamato cosi perché anni prima vi avevano trovato un paio di slip. Mi piace molto questa cacciata e in quella posta ho ricordi di belle prede e sinceramente anche di una clamorosa padella. Stiamo vicini sia perché viaggiamo con il suo fuoristrada e poi perché le sue orecchie negli anni lo stanno abbandonando e così sfrutta il mio ancora ottimo udito per avvertire l’avvicinamene dei selvatici.
Eravamo pronti.. alla radiolina il caposquadra chiedeva se eravamo tutti in posizione e alla risposta positiva dei capoposta diede il via alla sciolta dei cani.
Da li a poco alcuni cani partirono in seguita, non eravamo sicuri che fosse un cinghiale ma
comunque alla radiolina avvisavano di stare attenti, la canizza saliva per la pineta, cominciavamo a sentire i cani e poi il fruscio del selvatico tra i roghi di fronte a noi, feci un cenno silenzioso e quasi impercettibile a papà, ma con lui c’è un ottima intesa e ci capiamo con molto poco, eravamo pronti al tiro ed ecco il selvatico, purtroppo non era un cinghiale ma un capriolo, lo lasciammo uscire dalla battuta e con qualche richiamo verbale e un pò di corse riuscimmo a girare i cani e bloccargli la seguita.
L’articolo prosegue a pagina 18 del numero 79 di Cinghiale&Cani attualmente in edicola.