Tratto dal libro “Addestramento e impiego del segugio su lepre”
Gildo Fioravanti editoriale Olimpia
È caccia particolare, di nobile tradizione, d’élite, che tuttavia altera l’equilibrio che regola la competizione naturale fra selvatico e cane.
Il rifiuto consiste, come noto, nella capacità di alcuni segugi, i migliori, di tenere la pista dello stesso selvatico inseguito, rifiutando quella di altri (da qui il gran rifiuto) che eventualmente e casualmente s’intromettano nel percorso. Essa deve valere anche in accostamento. Questa peculiarità, o specialità, è condizione essenziale della caccia a forzare, per cui i due argomenti sono strettamente collegati.
La caccia a forzare
La caccia a forzare l’animale senza fucile, vinto per stanchezza (per «stracca»), per esaurimento dai cani, è poco conosciuta nel nostro paese, avendo avuto notorietà soltanto per qualche equipaggio usato in passato su volpe di cui da diversi anni non si hanno più notizie. Al contrario, questa pratica ha antica e perdurante tradizione in Francia e Inghilterra in cui viene condotta su tutti i selvatici, dalla volpe al cervo, passando per il capriolo, il cinghiale, il daino. In Francia si forza anche la lepre, a piedi o a cavallo, mentre tutti i selvatici di maggior mole vengono perseguiti soltanto da cavalieri. Il complesso strutturale è l’equipaggio, costituto dalla muta, cavalli e cavalieri, canettieri, suonatori di traccia, maestro di caccia che dirige le operazioni. Il tutto arricchito dalle divise di particolari modelli e colori e regolato da norme e terminologie tecniche codificate dagli usi, con precisi e differenziati segnali di caccia (fanfare) mandati dai suoni delle trombe, sia per i cacciatori
solito fa bella cornice al quadro un castello o un maniero. Il capo del personale addetto alle mute (allevamento, addestramento, conduzione in caccia) è il bracchiere coadiuvato da aiutanti (valet de chien»).
L’articolo prosegue a pagina 18 del numero 18 di “Lepre, Cani e Caccia” in edicola