Le origini del Segugio Italiano, secondo quanto tramandato nel corso della storia, sono antichissime. Si pensa che addirittura questo cane discenda dai primitivi cani da corsa dell’Egitto, portati dai commercianti Fenici sulle coste del Mediterraneo e approdati poi anche in Italia: nei numerosi disegni egizi di epoca Faraonica si notano cani somiglianti al Segugio Italiano, caratterizzati da orecchie pendenti. Altri riferimenti storicamente più recenti, raffiguranti il medesimo tipo di cane, sono raffigurati nelle statue presenti nei Musei di Napoli (Diana Cacciatrice) e del Vaticano (Diana scoccando L’arco), e nel dipinto del Castello di Borgo D’Este 1600 è ritratto un cane molto somigliante. In termini di origine del segugio italiano, non sappiamo con certezza se queste rappresentazioni corrispondano al vero: possiamo dire però con certezza che il cane attuale ha una storia ed uno sviluppo molto più recente. Nel 19° secolo infatti, la razza stessa ha avuto una svolta significativa per quanto riguarda tipo e omogeneità con la stesura dello standard ENCI e del disegno del Solaro, a cui gli standard di razza devono oggi fare riferimento. Per descrivere in maniera sintetica ma completa il lavoro svolto da questi nostri segugi, i cinotecnici del passato lo hanno suddiviso in quattro fasi fondamentali – più una quinta altrettanto importante.
Stando a quelle che sono le mie esperienze in termini pratici cercherò di descrivere, nel corso di questo articolo, come io stesso preferisco che vengano svolte.
L’articolo prosegue a pagina 24 del numero 31 di Lepre, Cani e Caccia attualmente in edicola.