Il titolo non poteva essere più azzeccato di questo per raccontarvi la storia di una vita da cinofilo e da cacciatore che ancora oggi, quando “Moschino” per la sua squadra di caccia al cinghiale, ma per tutti Mauro Bergamaschi narra il ruolo di “Freccia” nella sua squadra.
Facciamo un passo indietro…. Siamo nella metà degli anni ’60, la caccia al cinghiale non esisteva ancora nella zona di Anghiari, in provincia di Arezzo. Anghiari, è inserito tra i borghi più belli d’Italia, paese Bandiera arancione e Città Slow (città del buon vivere). La fama di Anghiari nasce dal fatto di essere stata teatro della battaglia combattuta nell’anno 1440 tra i Fiorentini e i Milanesi, e in seguito dipinta da Leonardo da Vinci.
Mauro 17 enne grazie alla firma del babbo riesce a prendere il porto d’armi. Sin da bambino Mauro aveva come guida, nella caccia, lo zio Ezio Bergamaschi con il quale condivideva l’attesa dell’alba per andare alla lepre o alla penna. A suo tempo in campagna venivano usati cani meticci, Mauro invece, acquistò come primo cane una Pointer di nome Laika.
La simbiosi, quasi morbosa tra Mauro e il cane oggi fa si che Mauro possa dire: “ non sono stato io cacciatore a fare il cane, ma bensì è il cane che ha fatto me cacciatore”.
Pensate che, sono passati parecchi anni da quell’episodio ma il racconto di Mauro, mentre escono le sue parole, la sensazione di avere il cane ancora lì con lui è più che mai reale, addirittura il gesto del suo braccio è quello di allungarlo verso il cane come se fosse lì.
L’articolo prosegue a pagina 40 del numero 67 di Cinghiale&Cani attualmente in edicola